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Il Palazzo Reale di Napoli è un edificio storico ubicato in piazza del Plebiscito, nel centro storico di Napoli, dov'è posto l'ingresso principale: l'intero complesso, compresi i giardini e il teatro San Carlo, si affaccia anche su piazza Trieste e Trento, piazza del Municipio e via Acton.

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Fu la residenza storica dei viceré spagnoli per oltre centocinquanta anni, della dinastia borbonica dal 1734 al 1861, interrotta solamente per un decennio all'inizio del XIX secolo dal dominio francese con Giuseppe Bonaparte e Gioacchino Murat, e, a seguito dell'Unità d'Italia, dei Savoia: ceduto nel 1919 da Vittorio Emanuele III di Savoia al demanio statale, è adibito principalmente a polo museale, in particolare gli Appartamenti Reali, ed è sede della biblioteca nazionale.

Il Palazzo Reale è stato costruito a partire dal 1600, per raggiungere il suo aspetto definitivo nel 1858: alla sua edificazione e ai relativi lavori di restauro hanno partecipato numerosi architetti come Domenico Fontana, Gaetano Genovese, Luigi Vanvitelli, Ferdinando Sanfelice e Francesco Antonio Picchiatti.

 

Cosa Vedere:

Per la visita si consiglia sempre di utilizzare una guida.

L’ingresso per la visita completa, costa 6 euro. Per i giardini pensili si prenota e si paga a parte.

Per info aggiuntive, e anche per orari e biglietti, vedi sito ufficiale:

https://palazzorealedinapoli.org/

 

Tempo per la visita:

Per una visita completa, bisogna prevedere 1-2 ore.

 

Dove si trova il Palazzo Reale di Napoli.

L’ingresso è su piazza Plebiscito.

 

 Storia

Antefatti

Al termine della dominazione aragonese, il Regno di Napoli entrò nelle mire espansionistiche sia dei francesi che degli spagnoli: le due parti si spartirono il territorio a seguito del trattato di Granada firmato nel 1500; tuttavia questo non venne rispettato e sotto il Gran Capitano Gonzalo Fernández de Córdoba gli spagnoli conquistarono, nel 1503, il regno: ebbe inizio il viceregno spagnolo. Tale periodo, che interessò Napoli per oltre duecento anni, viene storicamente visto come un periodo buio e di regresso: viceversa la città godeva di un notevole fermento culturale e di una borghesia dinamica, oltre che di una flotta mercantile all'avanguardia in grado di competere con Siviglia e le Fiandre. Sotto Pedro Álvarez de Toledo y Zúñiga si decise per la costruzione di un palazzo Vicereale: progettato dagli architetti Ferdinando Manlio e Giovanni Benincasa, i lavori iniziarono nel 1543 per terminare poco dopo. La costruzione del palazzo Vicereale si pose in un periodo in cui i viceré si impegnarono in un riassetto urbanistico delle città italiane: a Napoli vennero riorganizzati le mura e i forti, ed edificati i cosiddetti Quartieri Spagnoli.

XVII secolo

Il viceré Fernando Ruiz de Castro, conte di Lemos, e la moglie, la viceregina Catalina de Zúñiga, decisero di costruire un nuovo palazzo in onore del re Filippo III d'Asburgo, per ospitarlo in vista di una sua imminente visita: il re di Spagna però non si sarebbe mai recato a Napoli. L'area scelta per la nuova costruzione era sita all'estremità occidentale della città, a ridosso della collina di Pizzofalcone, in posizione dominante il porto (che si sarebbe rivelata un'ottima via di fuga per il re in caso di attacco nemico), accanto al palazzo Vicereale, utilizzando una parte dei giardini di quest'ultimo: la scelta risultò quasi obbligata in quanto la città era in espansione verso occidente e ciò avrebbe comportato, con un edificio di simile importanza nelle vicinanze, un aumento dei costi dei terreni nelle zone di Pizzofalcone e di Chiaia. Il progetto venne affidato a Domenico Fontana, considerato in quel periodo il più prestigioso architetto del mondo occidentale, che ricopriva il ruolo di ingegnere maggiore del Regno: precedentemente il Fontana era caduto in disgrazia, in particolare dopo la morte di Sisto V, papa che gli aveva affidato numerosi lavori a Roma. La prima pietra venne posta nel 1600, in quella che all'epoca era chiamata piazza San Luigi; il disegno definitivo del progetto del palazzo fu pubblicato da Fontana solamente nel 1604 con il titolo di Dichiarazione del Nuovo Regio Palagio, mentre andarono perdute le bozze, utilizzate dall'architetto per iniziare l'opera, tant'è che egli stesso se ne rammarica:

«Non ho potuto mandare alla stampa li disegni delle opera fatte far da me in questa fidelissima città di Napoli e suo regno per mancamento di tempo.»

(Domenico Fontana)

Esiste tuttavia a Roma una pianta di Giovanni Giacomo De Rossi, risalente sicuramente a un periodo precedente al 1651, che mostra come avrebbe dovuto essere il palazzo secondo il primitivo volere dell'architetto: questo non si discostava particolarmente dal suo aspetto definitivo, ma furono apportate indubbiamente delle modifiche in corso d'opera. In questa mappa erano uguali sia la facciata che gli ambienti dell'estremità meridionale, mentre lungo il lato che si affacciava sul mare doveva esserci un corpo di fabbrica a forma di C: tale soluzione piacque talmente tanto che nelle stampe dell'epoca, nonostante il palazzo fosse ancora in costruzione, lo si rappresentava com'era nel progetto invece che nella realtà; di tale costruzione venne realizzato solo il lato occidentale, mentre il braccio orientale non fu costruito e la zona centrale completata solamente nel 1843. Domenico Fontana fu talmente entusiasta del progetto affidatogli che su due colonne della facciata fece incidere la scritta:

«Domenicus Fontana Patricius Romanus

Eques Auratus comes palatinus inventor»

L'impronta che l'architetto diede all'opera fu di stampo tardo rinascimentale, con cortile centrale e loggia interna al primo piano, adeguato quindi alle esigenze dell'epoca, ossia a una funzione di rappresentanza piuttosto che a una residenza fortificata. Godeva inoltre di un ampio piazzale antistante adatto per le parate militari e le adunate popolari. I lavori procedettero speditamente sia sotto il conte di Lemos che con il suo successore Francisco Ruiz de Castro. Fu sotto il viceré Juan Alonso Pimentel de Herrera che questi rallentarono, probabilmente a causa della scarsa disponibilità economica a seguito delle guerre e delle crisi che interessarono la Spagna o per una questione di onore, visto lo scarso interesse dei Pimentel de Herrera a completare un'opera inizia dai Lemos.

 Nel 1607, alla morte del padre, Giulio Cesare Fontana assunse la direzione del cantiere. L'edificazione dell'opera proseguì alacremente quando venne nominato viceré Pedro Fernández de Castro, nel 1610. Nel 1616, per accrescere l'importanza del palazzo, venne posta all'estremità di via Toledo, quella opposta ai cantieri di costruzione, la nuova sede dell'Università, ossia il palazzo degli Studi futura sede del Museo archeologico nazionale di Napoli. Nello stesso anno, grazie a una incisione di Alessandro Beratta e agli scritti di un diario del viaggiatore Confalonieri, si comprende lo stato dei lavori, in quanto quest'ultimo scriveva:

«Si considerò quel giorno da noi altri la struttura del palazzo regio, il quale ha la facciata tutta di peperini lavorati. Nel primo piano si enumerano venti una finestra e tre ringhiere, nel secondo, per altre tante finestre minori senza ringhiere. D'abbasso al terreno vi sono li porticati grandi, che rispondono in strada, e servono per la guardia, di due compagnie di soldati. Di dentro il palazzo non era finito. Ha due scale grandi, un grande cortile quadrato con li suoi porticati, de' quali le due parti rimanevano scoperte, desiderandosi il rimanente della fabbrica.»

Da questo scritto in definitiva si comprende che l'opera era già quasi del tutto terminata e poco dopo, anche se non se ne conosce la data precisa, iniziarono i lavori di decorazione interna con l'esecuzione delle opere pitturiche di Battistello Caracciolo, Belisario Corenzio e Giovanni Balducci. Nel 1644 Francesco Antonio Picchiatti preparò i bandi per la decorazione della cappella Reale, mentre nel 1651, per volere del viceré Iñigo Vélez de Guevara, iniziarono i lavori di costruzione dello scalone d'onore e dei giardini pensili con il belvedere sul mare.

XVIII e XIX secolo

Nel 1734 Napoli venne conquistata da Carlo di Borbone e divenne nuovamente capitale di un regno autonomo: il nuovo re decise di utilizzare il palazzo come residenza reale e avviò al contempo dei lavori di restauro, riorganizzando sia gli spazi per gli ambienti ufficiali, dove esercitare le funzioni di comando, sia gli appartamenti privati. Fu così che venne ampliato verso il mare con un corpo di fabbrica chiamato Appartamento del Maggiordomo, e verso il lato che guarda al Vesuvio con il cosiddetto Appartamento per i Reali Principi: vennero inoltre edificati due cortili interni, sistemati i giardini pensili, completata la facciata lungo via Acton e rifatte le decorazioni marmoree e pittoriche, in stile barocco, opera degli artisti Francesco De Mura e Domenico Antonio Vaccaro. Durante il regno di Ferdinando I delle Due Sicilie fu progettata e realizzata la Gran Sala, in occasione delle nozze del re, e il teatrino di corte, opera di Ferdinando Fuga.

Il palazzo all'inizio del XIX secolo

Nel 1837, a seguito di un incendio sviluppatosi all'interno delle stanze della Regina Madre, si rese necessario un nuovo restauro dell'intero complesso: il re Ferdinando II delle Due Sicilie si avvalse della collaborazione di Gaetano Genovese, il quale seguì la corrente artistica del periodo, ossia quella neoclassica. Venne abbattuto il palazzo Vicereale, creando la piazza che prenderà in seguito il nome di Trieste e Trento, e sistemata la facciata che insisteva sul nuovo piazzale; utilizzando una parte dei giardini, venne creato un nuovo corpo di fabbrica verso oriente, il quale ospiterà successivamente la biblioteca nazionale, e verso il mare, quest'ultimo rimasto incompleto dopo la costruzione di sei campate di balconi Nel corso di questi lavori gli appartamenti privati vennero spostati al secondo piano, mentre le sale al piano nobile furono riconvertite a scopo di rappresentanza. I lavori si conclusero nel 1858 dando al palazzo il suo aspetto definitivo: oltre ai principali architetti, nel corso dei secoli, se ne sono avvicendati altri, seppur operando in tono minore, come Bartolomeo Picchiatti, Onofrio Antonio Gisolfi, Ferdinando Sanfelice, Francesco Antonio Picchiatti, Luigi Vanvitelli e Antonio Niccolini; nonostante quindi la moltitudine di figure che si sono succedute nelle sua costruzione, il complesso ha mantenuto un aspetto simile a quello dato dal disegno iniziale di Domenico Fontana.

A seguito dell'Unità d'Italia il palazzo divenne residenza dei Savoia, tuttavia i reali lo abitarono solo saltuariamente. Al suo interno, nel 1869, nacque Vittorio Emanuele III di Savoia.

XX e XXI secolo

Nel 1919 Vittorio Emanuele III cedette il palazzo al Demanio di Stato: fu in questo periodo che la biblioteca nazionale fu spostata al suo interno, mentre gli appartamenti reali, quelli che si affacciano sul cortile d'onore, vennero preservati a scopo museale e aperti al pubblico. Pesanti danni furono inferti durante la seconda guerra mondiale: le truppe angloamericane lo utilizzarono come welfare club, mentre una bomba colpì la zona del teatrino, distruggendone il soffitto; a questo si aggiunsero razzie di opere e la distruzione di numerosi tendaggi e parati in stoffa, mentre il mobilio venne ricoverato in luoghi sicuri all'inizio del conflitto e quindi preservato. I lavori di restauro vennero eseguiti dal 1950 al 1954: furono recuperate e, in alcuni casi rifatte, le opere pittoriche, venne nuovamente risistemato il mobilio e furono ripristinati i parati in seta, realizzati originariamente a San Leucio, utilizzando gli stessi antichi telai. Nel 1994 la sede della Regione Campania, qui dagli inizi del Novecento, venne definitivamente spostata in altro luogo.

Durante la metà degli anni 2010 è stata restaurata la facciata e sono state riallestite alcune stanze dell'Appartamento Reale, tra cui il teatrino di corte.

Descrizione

La facciata principale del Palazzo Reale si apre su piazza del Plebiscito ed era già completata nel 1616: ha una lunghezza di centosessantanove metri e fino al 1843 era congiunta a quella del palazzo Vicereale, poi abbattuto per far posto all'odierna piazza Trieste e Trento. La facciata è realizzata in mattoni di cotto rosato, piperno e pietra vulcanica dei Campi Flegrei e ha uno stile sia tardo rinascimentale che manieristico: l'impronta rinascimentale è riscontrabile nella sovrapposizione di vari ordini, tipico degli edifici teatrali dell'antica Roma, come il Colosseo o il teatro di Marcello, mentre quella manieristica si nota nel disegno modulare delle facciata, una sorta di composizione che potrebbe essere ripetuta all'infinito non avendo alcun elemento che crea né l'inizio né la fine, così come, nella parte alta, è negata la conclusione vista la mancanza di cornice. È divisa verticalmente da lesene, prendendo spunto dalle indicazioni vitruviane, mentre orizzontalmente è separata da marcapiani che ne distinguono i tre ordini: al piano terra è in ordine tuscanico, segue quello ionico e infine quello corinzio.

La parte inferiore presentava originariamente portici per tutta la sua lunghezza: si trattava di una scelta architettonica innovativa per l'epoca, voluta da Fontana affinché il popolo potesse passeggiare anche in caso di tempo avverso; tuttavia dopo le vicende di Masaniello e per problemi strutturali, in quanto le colonne stavano subendo uno schiacciamento, nel 1753 le arcate furono murate per volere di Luigi Vanvitelli. All'interno della nuova muratura furono aperte delle nicchie, nelle quali, dal 1888, si posero le statue dei principali regnanti di Napoli, con l'intento di rappresentare una continuità della dinastia sabauda con la storia napoletana; da sinistra verso destra si riconoscono: Ruggero II di Sicilia opera di Emilio Franceschi, Federico II di Svevia di Emanuele Caggiano, Carlo d'Angiò di Tommaso Solari, Alfonso V d'Aragona di Achille D'Orsi, Carlo V d'Asburgo di Vincenzo Gemito, Carlo III di Spagna di Raffaele Belliazzi, Gioacchino Murat di Giovanni Battista Amendola e Vittorio Emanuele II di Savoia di Francesco Jerace.

 

La facciata lungo piazza Trieste e Trento

Al centro si apre il portale d'ingresso, contrassegnato ai lati da due doppie colonne in granito e sormontato dallo stemma di Filippo III d'Asburgo, già predisposto nel progetto di Fontana a sottolineare l'utilità pubblica del palazzo; accanto a questo, su ogni lato, altri due stemmi, disposti simmetricamente e di dimensioni minori, ossia quelli di Juan Alonso Pimentel de Herrera e di Pedro Fernández de Castro, a testimonianza della costruzione del palazzo durante il periodo vicereale. Due lapidi inoltre ricordano una l'inizio dei lavori voluti da Fernando Ruiz de Castro e dalla moglie Catalina de Zúñiga, l'altra invece loda la bellezza dell'edificio: al di sotto delle lapidi erano poste, fino all'inizio del XVIII secolo, due statue in stucco raffiguranti la Religione e la Giustizia. Tra il portale principale e la balconata è posto lo stemma dei Savoia. Le due garitte ai lati dell'ingresso furono realizzate nei primi anni del XVIII secolo. Alle estremità della facciata sono posti due ingressi minori, segnati da due semplici colonne in marmo, che aumentano ancora di più il senso di indefinito e sembrano essere quasi nascosti. Lungo la facciata e nel cortile d'onore è presente, tra il piano terra e il primo piano, un marcapiano in piperno con metope e triglifi raffiguranti gli stemmi della casa di Spagna e i loro possedimenti in Europa, in maggior parte ottenuti a seguito della pace di Cateau-Cambrésis nel 1559: si nota quindi il castello a tre torri della Castiglia, il leone rampante del León, il biscione che inghiotte un fanciullo simbolo del ducato di Milano, lo scudo con i quattro pali verticali dell'Aragona, la croce con le quattro teste dei mori simbolo del regno di Sardegna e gli stemmi di Navarra, Austria, Portogallo, Granada e Gerusalemme. Le finestre sono inserite in robuste cornici, elemento architettonico che riscuoterà molto successo a Napoli. Sulla sommità della facciata erano presenti cuspidi e sfere, rimosse all'inizio dell'Ottocento, e tre edicole, posizionate ognuna in direzione di un ingresso: di queste ne rimane una, quella con orologio, in posizione centrale.

La facciata lungo via Acton, caratterizzata dai giardini pensili, è stato a lungo oggetto di rifacimento, soprattutto nel XVIII secolo, e terminata nel 1843. Anche la facciata che dà su piazza Trieste e Trento è stata completata nello stesso anno, opera di Gaetano Genovese, a seguito della demolizione del palazzo Vicereale: questa venne successivamente raccordata al teatro di San Carlo da Francesco Gavaudan e Pietro Gesuè, demolendo i resti di una vecchia torre. Entrambe le facciate si rifanno architettonicamente a quella principale: in particolare la seconda ha una forma a C e accoglie un giardino chiamato Giardino Italia, in quanto al centro è posta una statua raffigurante la Libertà, realizzata da Francesco Liberti nel 1861. Inoltre questa facciata è in parte porticata, sorreggendo un terrazzo, mentre un ingresso a vetrata dà direttamente sullo scalone d'onore, decorato con due coppie di statue in gesso, qui collocate durante il restauro del Genovese e provenienti dal Palazzo degli Studi: si tratta delle copie dell'Ercole Farnese e della Flora Farnese da un lato e della Minerva e di Pirro e Astianatte dall'altro.

Il cortile d'onore

Nel progetto originario di Domenico Fontana, in corrispondenza dei tre ingressi, dovevano aprirsi tre cortili, collegati tra di loro tramite degli androni voltati: tuttavia a essere costruito fu solo quello in corrispondenza dell'ingresso centrale, il cosiddetto Cortile d'Onore. Si presenta a forma quadrata, con cinque arcate su ogni lato, di cui quella centrale di maggiori dimensioni e a sesto ribassato: intorno, al primo piano, un loggia, in primo momento aperta, poi chiusa con ampi finestroni. In una nicchia nella parte orientale del cortile era posta originariamente una vasca, ma in seguito, durante gli anni quaranta del XIX secolo, fu sostituita da una fontana: ornata con una statua della Fortuna, la fontana fu voluta da Carlo di Borbone nel 1742, realizzata da Giuseppe Canart e in principio situata nei pressi del molo. A seguito di alcune indagini, è stata rivenuta in alcuni punti una pavimentazione a spina di pesce in laterizi.

Con la costruzione del nuovo braccio meridionale del palazzo tra il 1758 e il 1760, si crearono anche due nuovi cortili: uno in asse con il cortile d'onore, alle sue spalle, che prende il nome di Cortile delle Carrozze, mentre l'altro è il Cortile del Belvedere.

Nonostante le due diverse epoche di costruzione, il Cortile delle Carrozze, così chiamato per la vicinanza ad una rimessa di carrozze, si avvicina architettonicamente allo stile dato al palazzo da Domenico Fontana, anche se comunque non mancano elementi di distacco come l'uso dello stucco al posto del piperno e quello della lesena angolare. La corte ha una forma rettangolare, con al centro una vasca di forma ellittica in marmo, ed è unito al cortile d'onore e alla spianata dei bastioni da due corridoi di servizio ad arco ribassato. La rimessa delle carrozze, realizzata nel 1832 da Giacinto Passaro, sostituisce quella di circa un secolo prima di Ferdinando Sanfelice, soprattutto per questioni di estetica in quanto la nuova si allineava alla facciata del palazzo rispetto alla precedente che invece seguiva una linea obliqua; è un ambiente voltato con spina centrale che verte su nove colonne in ordine dorico e su cui si notano ancora gli scudi rossi con la corona e il monogramma di Umberto I di Savoia: il ritmo delle finestre venne modificato dal Genovese nel 1837 per adattarlo alle esigenze del Cortile del Belvedere.

Il cortile del Belvedere nasce come corte a mare del primo nucleo del palazzo e aveva originariamente una forma a C, chiuso da un loggiato, poi successivamente modificato a seguito della costruzione dei nuovi nuclei del palazzo nel Settecento, con l'inserimento di archi a sesto ribassato e a sesto pieno nella parte orientale; altre modifiche si hanno tra il 1837 e il 1840 quando, per l'accesso al cortile, viene creato un arco trionfale con semicolonne ioniche e corinzie in finto piperno. Il cortile è decorato tra il piano terra e il primo piano da una fascia dorica a metope in finto piperno e triglifi. Dal cortile del Belvedere, contraddistinto da un corridoio prospettico che unisce il panorama sul golfo di Napoli a quello dei giardini, si consente l'accesso a diverse zone del palazzo: sulla sinistra è la cosiddetta scala dei Forestieri, che porta al vestibolo dell'appartamento storico, con delle nicchie nelle quali sono collocate copie in gesso di statue appartenenti alla collezione Farnese, esposte al Museo archeologico nazionale di Napoli, mentre un ponticello, crollato a seguito dei bombardamenti della seconda guerra mondiale e ricostruito sugli stessi appoggi in ghisa, lo collega direttamente al giardino pensile. Dal cortile si accede sia a un appartamento privato riservato agli incontri ufficiali di Ferdinando II delle Due Sicilie, con decorazioni alla pompeiana, divenuto poi sede della Soprintendenza, sia a un ponte che, superando il fossato difensivo, si collega ai bastioni del Maschio Angioino e a una discesa che porta alle scuderie.

Appartamento Reale

L'Appartamento Reale è posto al piano nobile del palazzo: dal 1660 al 1734 è stato utilizzato come luogo di rappresentanza dei viceré spagnoli e austriaci, dal 1734 al 1860 appartamento privato e pubblico dei Borbone e, con l'unità d'Italia, appartamento d'etichetta dei Savoia. L'appartamento è stato aperto al pubblico nel 1919 dopo essere entrato a far parte degli Istituti di Antichità e Arte dello Stato, mentre il suo aspetto musealizzato si deve ai lavori di restauro eseguiti al termine della seconda guerra mondiale. L'allestimento delle sale è rimasto pressoché intatto dopo l'ultima sistemazione effettuata in epoca borbonica e descritta negli inventari sabaudi del 1874. Le decorazioni interne delle camere ripercorrono solitamente le vicende delle varie personalità di spicco delle dinastie che le hanno abitate, adeguandosi al gusto e alle mode del periodo in cui erano realizzati. I dipinti delle sale, per lo più di scuola settentrionale ed europea, a cui si aggiunge qualche artista napoletano, provengono dalla collezione Farnese, dalle raccolte borboniche, come ad esempio le tele di scuola caravaggesca del Seicento, acquistate ai primi dell'Ottocento, o ritratti olandesi fatti acquistare da Domenico Venuti a Ferdinando I delle Due Sicilie, e dalle chiese napoletane che venivano chiuse: tuttavia in palazzo non vanta una vera e propria collezione, ma solo pezzi a sé stanti in quanto, nel corso degli anni, numerose opere, per volere sia dei Borbone che dei Savoia, sono state trasferite in altri musei, come quello di Capodimonte, insieme all'Armeria reale e alle porcellane, oppure al Museo archeologico nazionale, o in palazzi sedi di enti pubblici. Il mobilio, in stile rococò e barocco, è stato realizzato da ebanisti napoletani tra il XVIII e il XIX secolo o portati dalla Francia durante la permanenza a Napoli di Gioacchino Murat, insieme a tappeti a arazzi, alcuni dei quali tessuti anche dalla Reale Arazzeria di Napoli. Resiste un buon numero di pezzi di artigianato: si tratta di porcellane, soprattutto di Sèvres, orologi, sculture in bronzo e marmo e lavori in pietre dure. Per accedere alle stanze del re venivano utilizzate delle chiavi d'argento e d'oro, custodite dai gentiluomini di camera: diverse di queste si trovano al museo civico Gaetano Filangieri di Napoli.

Lo scalone d'onore

In origine esisteva una scala modesta a due rampe, opera di Domenico Fontana. Per volere di Iñigo Vélez de Guevara, venne costruito tra il 1651 e il 1666 un nuovo scalone, in piperno, realizzato da Francesco Antonio Picchiatti: questo venne definito nel 1729 da Montesquieu come il più bello d'Europa, ed è ritratto nel dipinto di Antonio Dominici del 1790 dal titolo Scalone reale con il corteo nunziale delle principesse di Borbone. A seguito dell'incendio del palazzo nel 1837 si decise la costruzione di un nuovo scalone: questo fu realizzato nel 1858 su disegno di Gaetano Genovese e realizzato da Francesco Gavaudan; per la sua costruzione, la nuova scala occupò non solo lo spazio della precedente, ma ne prese altro anche dalla corte. Lo scalone si trova nella parte settentrionale del palazzo, posizionato ortogonalmente rispetto alla facciata: la sala dove è posto è rivestita da diversi tipi di marmo provenienti dalle cave del regno delle Due Sicilie come quello rosato, il Porto Venere, il rosso di Vitulano, la breccia rosata di Sicilia, il Mondragone e il lumachino di Trapani. Questo ambiente è in stile neoclassico: originariamente soffriva di scarsa luminosità e il problema fu risolto nel 1843 con l'abbattimento del vicino palazzo Vicereale e l'apertura di finestroni a vetrate con montatura in ferro e in ghisa, che andarono a sostituire una serie di archi ribassati chiusi da tompagnature. Caratteristico è l'uso dei pilastri piuttosto che quello delle lesene: la volta è a padiglione e ornata con stucchi bianchi su fondo grigio, raffiguranti festoni e stemmi del regno di Napoli, di Sicilia, della Basilicata, della Calabria e, aggiunti successivamente, di Casa Savoia. Sulle pareti laterali si aprono quattro nicchie, due per lato, abbellite da sculture in gesso: due sono Fortezza di Antonio Calì e Giustizia di Gennaro Calì, e altre due Clemenza di Tito Angelini e Prudenza di Tommaso Scolari. Completano le decorazioni due bassorilievi in marmo di Carrara raffiguranti la Vittoria tra il Genio della fama e il Valore, di Salvatore Irdi, e Gloria tra i simboli della Giustizia, della Guerra, della Scienza, dell'Arte e dell'Industria, di Francesco Liberti, rispettivamente sulla destra e sulla sinistra.

Giardini

Il giardino del Palazzo Reale è ciò che rimane degli antichi giardini del palazzo Vicereale: questo giardino di passeggio venne realizzato nel 1842 dal botanico tedesco Friedrich Dehnhardt sfruttando lo spazio che si era venuto a creare a seguito della demolizione di alcuni edifici adibiti a maneggio tra il Palazzo Reale e il Maschio Angioino. Questo si trova protetto da un'ala nuova del palazzo, chiamata della Porcellana, in quanto originariamente ospitava una fabbrica di porcellana, poi trasferita a Capodimonte, e adibita ad alloggi per gli infanti dei Borbone e successivamente alla biblioteca nazionale. Il giardino presenta delle aiuole disegnate con un andamento casuale e sinuoso, mentre le piante ospitate variano tra specie locali e altre esotiche, come Ficus macrophylla, Strelitzia nicolai, Persea indica, Pinus canariensis, Magnolia grandiflora, Jacaranda mimosifolia e Cycas revoluta: le piante sono contraddistinte da cartellini che ne riportano la data della messa a dimora. Tutto il giardino è cinto da una cancellata con lance dalle punte dorate; presso il cancello d'ingresso, nel 1924, Camillo Guerra realizzò uno scalone per fornire la biblioteca nazionale di un ingresso autonomo, dalla forma di esedra: ai lati è decorato da due Palafrenieri in bronzo, opera di Peter Jakob Clodt von Jürgensburg, copia di quelli realizzati a San Pietroburgo e dono dello zar Nicola I in ricordo del suo soggiorno a Napoli nel 1845, come ricordato in una lapide sottostante.

Dal primo piano dell'Appartamento Reale si accede al giardino pensile: le prime testimonianze che si hanno del giardino risalgono ad alcuni ritratti di Francesco Cassiano de Silva risalenti alla fine del XVII secolo: questi furono sistemati nel 1745 da De Lellis e successivamente con Bianchi, mentre assunsero l'aspetto definitivo con il restauro del Genovese durante la metà del XIX secolo. Le principali piante sono Bougainvillea e rampicanti: al centro, precisamente tra il vestibolo e il ponte in ghisa, sono posti una fontana e un tavolo con zampilli; completano l'opera panchine in marmo in stile neoclassico e aiuole.

Le scuderie sono un ambiente di circa milleduecento metri quadrati caratterizzato da un soffitto con diciotto campi voltati che scaricano su una fila centrale di pilastri quadrati; un lato è attrezzato con le mangiatoie in pietra calcarea, mentre sulla pavimentazione sono ancora visibili i segni lasciati dai cavalli. Più in basso un edificio costruito nel anni ottanta del XIX secolo adibito a maneggio. Nella zona sono inoltre presenti i ruderi del vecchio maneggio e delle scuderie, abbattuti da Genovese, e, su una zona leggermente rialzata, quello che un tempo era il campo da tennis di Umberto I di Savoia.

I ritrovamenti nei pressi dell'ingresso

Durante i lavori di restauro del 1994, nei pressi della biglietteria, all'ingresso, nel tratto compreso tra l'ingresso di piazza Plebiscito e quello di piazza Trieste e Trento, in quello che era il percorso originario di ingresso al palazzo, dove sostava il corpo di guardia, è stato ritrovato, a circa un metro sotto il piano di calpestio, un viale facente parte dei vecchi giardini del palazzo Vicereale: il vialetto era stato realizzato in mattoni disposti a spina di pesce, bordato con blocchetti di pietra lavica da un lato e poggiato a un muro dall'altro. Il muro aveva la funzione di contenimento della spianata sulla quale sorgeva il giardino: questo, risalente al XVI secolo, è realizzato nella parte inferiore da blocchetti di tufo, mentre in quella superiore, da basoli di trachite aggiunti successivamente. Poco più avanti è stato rinvenuto un pozzo rettangolare, affiancato da due vasche di forma circolare: da studi stratigrafici è emerso che il pozzo è rivestito in muratura per circa tredici metri di profondità, a cui seguono altri due metri e cinquanta scavati direttamente nel tufo per poi giungere a una camera quadrata dove era raccolta l'acqua della falda; il fondo era ricoperto da uno strato di limo spesso circa quaranta centimetri. Con l'inizio della costruzione del palazzo Reale il pozzo venne dismesso e utilizzato come immondezzaio: sul suo fondo, per un'altezza di circa quattro metri, grazie alla presenza d'acqua che ne ha permesso la conservazione, sono stati ritrovati materiali organici come ossa di animali, resti di pesci e molluschi, rami e noccioli di frutta, ma anche materiale da costruzione come maioliche e legno lavorato, che hanno permesso di ricostruire lo stile di vita di quel periodo; successivamente è stato riempito con materiale di risulta fino al bordo.

Biblioteca nazionale

La biblioteca nazionale, dedicata a Vittorio Emanuele III di Savoia, è ospitata in un'ala nel Palazzo Reale dal 1923: con oltre due milioni di testi è la biblioteca più importante del sud Italia, nonché una delle prime a livello mondiale. Contiene carte geografiche, progetti, disegni rari, preziosi manoscritti, lettere, fondi di letteratura, arte e architettura, provenienti dalla raccolta Farnese e da altre raccolte acquisite nel corso degli anni, e i papiri provenienti dall'omonima villa ritrovata durante gli Scavi archeologici di Ercolano: alcuni testi portano firme di artisti del panorama italiano come quelle di san Tommaso d'Aquino, Torquato Tasso, Giacomo Leopardi, Salvator Rosa, Luigi Vanvitelli e Giambattista Vico.

Le sale che ospitano la biblioteca erano in origine adibite per ospitare le feste di corte, realizzate durante i lavori di restauro effettuati da Gaetano Genovese durante la metà del XIX secolo: alcune di queste presentano decorazioni in stile neoclassico, come ad esempio nel Salone da Lettura, antica sala da ballo, o la sala che ospita la sezione dei manoscritti e rari, con pitture che ricordano soprattutto gli affreschi pompeiani, realizzati da diversi artisti dell'Accademia Napoletana come Camillo Guerra, Giuseppe Maldarelli e Filippo Marsigli, o la Sala Palatina, in origine Gabinetto Fisico, ossia un laboratorio astronomico creato per il diletto de re.

Teatro di San Carlo

Al complesso del Palazzo Reale appartiene anche il vicino teatro di San Carlo: costruito da Giovanni Antonio Medrano, venne inaugurato il 4 novembre 1737, in occasione dell'onomastico del re. Nel corso degli anni ha subito numerosi interventi di rifacimento, sia alla facciata che all'interno: la facciata, che in un primo momento si presentava dalle semplici linee architettoniche fu modificata da Antonio Galli da Bibbiena nel 1762, da Ferdinando Fuga nel 1768, da Domenico Chelli nel 1791, fino ad assumere il suo aspetto definitivo, in stile neoclassico con pronao bugnato, galleria in ordine dorico e decorazioni con bassorilievi, tra il 1810 e 1812 con i lavori effettuati da Antonio Niccolini. Lo stesso Niccolini restaurò anche gli interni nel 1841 e poi, a seguito di un incendio, nel 1861 con l'aiuto del figlio Fausto e di Francesco Maria Del Giudice. Ampliato nel corso degli anni trenta del Novecento, l'interno del teatro si presenta a forma di ferro di cavallo, adornato con raffigurazioni di putti, cornucopie e soggetti classici: la volta è affrescata con Apollo che presenta a Mercurio i maggiori poeti greci, latini e italiani, opera di Giuseppe Cammarano; può ospitare poco più di 1 300 spettatori. Il sipario è del 1854, realizzato da Giuseppe Mancinelli e raffigurante Muse e Omero tra poeti e musicisti. Il teatro è collegato direttamente al palazzo reale con due ridotti, uno al pian terreno, l'altro, privato, al piano nobile, con decorazione neoclassica, e attraverso il giardino.

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